Negli ultimi decenni, giornali e televisione, troppe volte, hanno riportato alla luce casi di ritrovamento di neonati abbandonati per strada o nei cassonetti. Tali episodi si verificano per motivi diversi e complessi, riconducibili a situazioni di disagio sociale ed economico, alla mancanza di un’informazione adeguata alle donne sulle opportunità loro offerte sia sul piano giuridico sia su quello dell’aiuto socio-assistenziale e sanitario.
Dietro questi gesti estremi ci sono donne disperate che spesso non sanno di avere un’alternativa, donne che non hanno nessuna possibilità di prendersi cura del proprio bambino, a causa della realtà in cui vivono e della società o gruppo sociale, con cui si rapportano.
Non sono solo clandestine, extracomunitarie terrorizzate, spesso sono giovani di buona famiglia, che vogliono mantenere segreta la loro gravidanza e la loro maternità per paura di uno scandalo.
Allo scopo di prevenire ed evitare gli infanticidi e gli abbandoni, la vigente normativa italiana consente alla donna il diritto a partorire in anonimato, a non riconoscere il proprio figlio, ad essere assistita e non essere giudicata. Nonostante questo il problema dell’abbandono dei neonati continua a costituire un’importante piaga sociale.
Il Progetto ninna ho, voluto dalla Fondazione Francesca Rava e da KPMG Italia è il primo progetto nazionale a tutela dell’infanzia abbandonata che ha ricevuto l’autorevole patrocinio del Ministero della Salute e il patrocinio della Società Italiana di Neonatologia. Si rivolge a tutte quelle madri che per difficoltà psicologica, sociale od economica non sono in grado di potersi prendere cura del neonato. Gli obiettivi che il suddetto progetto si ripropone di perseguire è quello di offrire alle donne in difficoltà una concreta possibilità di esercitare presso strutture ospedaliere il diritto al parto in anonimato, garantito dalla legge italiana e, al contempo, tutelare i neonati a rischio di abbandono e di infanticidio.
Intento perseguito non – come sovente accade in questi casi – mediante commoventi parole che disegnano ambiziose promesse, bensì mediante un atto palpabile che trova nell’oggetto più espressivo dell’età neonatale la sua più pregevole concretizzazione: la culla termica.
“La culla vuole essere uno strumento di aiuto, solidarietà e vicinanza alle madri in difficoltà che arrivano alla scelta estrema di abbandonare il proprio bambino, nella speranza che si possano evitare gesti disperati e salvare le vite umane più deboli e indifese, i neonati”. Questo è quanto dichiarato da Mariavittoria Rava, presidente Fondazione Francesca Rava.
La culla termica corrisponde alla versione moderna e tecnologicamente avanzata della medievale Ruota degli Esposti. Si tratta di una struttura concepita appositamente per permettere di lasciare, totalmente protetti, i neonati da parte delle mamme in difficoltà nel pieno rispetto della sicurezza del bambino e della privacy di chi lo deposita. La culla ninna ho è posizionata in un luogo facilmente raggiungibile e defilato dell’ospedale, all’interno di una struttura dotata di dispositivi interni ed esterni che ne facilitano l’utilizzo sia per la mamma che per il pronto intervento medico.
A Napoli, la culla termica è stata allestita presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II in Via Tommaso De Amicis 115.
Un’informazione tutt’altro che trascurabile, perché potrebbe salvare la vita a molte labili vite.
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