Nello scacchiere politico ed economico del Medio Oriente l’Afghanistan è stato uno dei paesi che ha pagato il più alto prezzo in termini di vite umane e stabilità sociale, sia tra gli abitanti locali che tra gli sventurati soldati inviati nelle “missioni di pace”. Dopo 13 anni di intervento da parte dell’esercito ISAF ( Forza di Supporto alla Sicurezza Internazionale), coordinato dalla NATO e dagli USA, la presenza bellicosa dei talebani appare tutt’altro che rimossa, come ha dimostrato sempre crescente numero di attentati e conseguenti vittime degli ultimi anni: più di 3100 perdite tra i civili e 4600 tra i soldati e corpi di polizia; è di oggi la notizia di un ulteriore attacco ad un posto di blocco che ha visto la morte di 4 militari ed 8 talebani, un’incessante cadere al suolo di corpi umani sotto i colpi di mortaio e degli ak-47.
«I 13 anni di intervento della Coalizione internazionale sono stati un fallimento […] «nessun negoziato con il governo del presidente Ashraf Ghani sarà possibile in presenza di soldati stranieri sul territorio afghano». E’ quanto affermato dal portavoce degli guerriglieri Zabihullah Mujahid, ribadendo la sanguinosa situazione di stallo che pare non riuscirà a sbloccarsi nemmeno con questo avvenimento: si tratta si di un ritiro copioso di truppe internazionali e di una riduzione del peso dell’intera operazione di controllo, ma che verrà comunque sostituita con una nuova azione militare ed economica, seppur ridotta. Si tratta della Resolute Support, la quale vedrà l’impiego di 13 mila uomini mobilitati da 14 nazioni diverse nei primi giorni di gennaio, in aiuto alle (si spera) riformate e maggiormente autonome autorità afghane; 750 di questi militari proverranno dall’Italia.
A complicare ulteriormente la situazione vi è la mancata unità del governo del presidente Ghani, così faticosamente ottenuto dopo le elezioni di quest’estate ( contornate da 150 attentati ed un centinaio di morti), e alla mancanza d’intesa anche con le altre forze politiche del paese. Sicuramente non è cosa facile coadiuvare il dialogo con un popolo e la lotta al terrorismo insito al suo interno, men che meno quando questi intenti possano rivelarsi poco più che uno specchietto per le allodole al fine di tenere sotto controllo un’area fortemente strategica, in termini geo-politici. Chissà che un giorno questa come altre terre potranno finalmente sradicare estremismi ideologici e pressioni politiche da parte dei paesi “neocolonialisti”, al fine di poter raggiungere una reale autodeterminazione ed indipendenza politica ed economica; chissà se la strada per raggiungere questa meta sia stata davvero tracciata, e se la si voglia davvero percorrere da ambedue le parti.