Quando si è in viaggio in luoghi sconosciuti, una delle attività più appaganti per coloro che amano soddisfare la sete di conoscenza e stimolare le capacità sensoriali è il perdersi tra gli angoli, le curve e le svolte di percorsi seguiti d’istinto. E’ così che inaspettatamente possono schiudersi, dinanzi agli occhi increduli dei viaggiatori, cantucci metropolitani lontani dalla frenetica folla scalpitante. Ci si può imbattere in una fontana dai zampillanti getti luccicanti, in un antico palazzo vestito dai segni dell’ epoca trascorsa, in una piazzetta che accoglie gli avvincenti tornei di briscola organizzati dal bar all’ angolo, insomma, si può riscoprire tutto ciò a cui la natura o l’uomo ha dato possibilità di esistere.
La cosa, però, che rende questo tipo di percorso turistico alternativo, ancora più speciale, è la possibilità di svolgerlo e sperimentarlo, senza andare lontano, ma dedicandosi alla scoperta della città in cui si è nati.
In questo caso specifico, Napoli.
E’ da Via dei Tribunali che ci si può distaccare, per vie meno battute alle spalle di Piazza San Gaetano, ed intraprendere uno straordinario itinerario alla ricerca dei resti dei teatri romani dell’Anticaglia. Non seguendo i percorsi proposti dalle agenzie pubbliche o private, bensì intrufolandosi (chiedendo sempre il permesso a qualche inquilino o al portiere) all’ interno degli androni e sui pianerottoli dei palazzi che, a partire dal ‘500, hanno inglobato le antichissime strutture preesistenti.
Questo avvincente viaggio può iniziare svoltando dal Decumano Maggiore in Via San Paolo. All’ inizio della strada, al n.14 è subito possibile godere della graziosità del “minuto” chiostro dell’Archivio Notarile. Una piccola oasi, un luogo di ristoro in disparte che timidamente si apre lontano dal vociare cittadino, fieramente incorniciato da colonne di epoca paleocristiana. Proseguendo, all’ incrocio con Via S. Pellegrino a San Paolo, al n.15 si può sbirciare oltre il portone di un bel palazzo d’epoca appartenuto ai Caracciolo, e ritrovare incastonate nella murazione moderna, strutture risalenti al ‘500.
Ma la favola non si è ancora svelata. E’ necessario giungere alla fine di Via San Paolo, quasi all’inizio dell’Anticaglia, per veder diventare forma e materia, gli echi mitici della nostra storia cittadina. E’ qui, al n. 5b che percorrendo una sorta di corridoio, nel ‘500 utilizzato pare per accogliere i cavalli, intessuto del tipico opus latericium, inizia a delinearsi limpidamente l’emozione per ciò che non si è preparati ad aspettarsi. Saliti al pianerottolo del secondo piano infatti, si ha una splendida visuale su parte della cavea (il luogo dedicato agli spalti) del teatro, con gradini un tempo ricoperti di marmo bianco, in alcuni punti ancora visibile.(foto in alto a sinistra). Un luogo pubblico realizzato tra il I sec. a. C. ed il I sec. D.c. (età augustea ed età flavia) incredibilmente adagiato tra palazzi di epoche più moderne che sembrano convivere amabilmente con il loro antenato, tra un bucato steso ed una chiacchierata sul terrazzino vista anfiteatro. Una visione surreale che ci accorgiamo essere realtà una volta ricordatisi di trovarsi nella città in cui il limite all’immaginazione è confine non pervenuto.
Ma come accennato, si tratta di un viaggio straordinario ed infatti le sorprese non sono ancora tutte palesate. Al termine di Via San Paolo, all’incrocio con via Pisanelli, è ancora visibile una colonnina in granito appartenuta all’ Odeiòn, il teatro coperto di dimensioni più piccole, utilizzato per il canto e la poesia, di cui rimangono pochissime tracce di opus reticolato e laterizio.
Si è giunti così a Via dell’Anticaglia, la strada che segue perfettamente l’andamento curvilineo del teatro (straordinariamente visibile consultando le immagini satellitari offerte dalla rete). Una strada aperta nel ‘500 che ha letteralmente sventrato le strutture romaniche. Qui fanno bella mostra di sé balconcini prepotentemente sbucati dalle strutture in laterizio del teatro che fungono oggi come elementi di congiuntura tra palazzi disposti su lati opposti. Simbolo fra tutti di un quartiere che si è appropriato materialmente, anche in maniera involontaria, del proprio passato, è la presenza di un pannello esplicativo che racconta la storia dei famosi teatri, ironicamente celato dietro la persiana aperta di un tipico basso napoletano.
Al n.29 si scoprono ulteriori tracce del luogo di svago romano, forse legate ai vomitoria (ingressi al pubblico) o ambulacri (corridoi) un tempo abitazione di uno degli inquilini del palazzo, oggi sede di scavi e ricerche. La cosa assolutamente incredibile è che in molte delle abitazioni del circondario si ritrovano resti del teatro, murazione, parti di gradinate utilizzate come mensole o sedili, che divengono in questo modo, parte dell’arredamento moderno in un gioco infinito di rifunzionalizzazioni e negazione d’identità.
Le ultime tappe di questo itinerario fai da te si delineano in Vico Cinquesanti. Attraverso un vetro posto sul lato della strada, si scorgono resti di strutture in opus reticolato e proseguendo verso la fine, al n. 23, ci si imbatte in un palazzo dall’ingresso stupefacente. Da informazioni gentilmente e fieramente riferite da giovanissime inquiline, i fregi e le colonne che ornano il portale e l’androne, risalirebbero all’età neroniana. Addirittura pare che al suo interno sia stato trovato un busto dell’imperatore. Oggi le colonne a ricordo dei fasti che furono, si ergono severe “assorbite” in un tessuto urbano fatto di clacson, parcheggi selvaggi e biancheria svolazzante.
La componente più significativa di questo tour alternativo è stata la cordialità delle persone del posto. Lasciarsi guidare e “rimbalzare” da palazzo a palazzo grazie alle informazioni raccolte dai passanti, residenti e commercianti. La grande disponibilità della gente che letteralmente è pronta ad accogliere sconosciuti nei propri androni e cortili, pur di strappargli un’emozione e godere dello stupore degli avventori.
Questo tipo di itinerario non è gratuito, si paga con un sorriso sincero, la merce di scambio più preziosa, perché prodotta dalla zecca di uno stato singolare, quello dell’anima: la serenità in tempi moderni troppe volte calpestata.