Martedì scorso, arrivato a Scuola (al Liceo Margherita di Savoia in via Tarsia a Napoli) dopo la pausa ‘disinfestazione da imenotteri’, ho trovato molti studenti fuori dai cancelli. Anche i miei colleghi ed il resto del personale scolastico erano lì: tutti un po’ spaesati. Capivo che alcuni studenti ‘avevano occupato’, ovvero avevano dato inizio ad un’occupazione di suolo pubblico rivendicando il loro diritto di protesta per garantire altri diritti. Non capivo bene però quali ‘altri diritti’ dovessero proteggere, ma conservo con me alcune impressioni. Vi era disorientamento e anche un po’ di confusione: segno che non vi era stato molto accordo circa le motivazioni e le azioni concrete. Al tempo stesso però alcuni studenti (che erano lì già da qualche ora e avevano scavalcato i cancelli all’alba) avevano solo una certezza: ‘bisognava occupare’. Intanto circolava una fotocopia di un testo che, dopo aver illustrato disapprovazione per la manovra di sul lavoro (il cd. Jobs Act) e rivendicato il diritto allo studio nelle scuole pubbliche ben attrezzate, concludeva con un solenne “noi occupiamo le Scuole”… Ora non era ben chiaro chi fosse il ‘noi’ né era chiaro quali scuole si volessero occupare! Ma da questo si intuiva che l’azione era stata coordinata dall’esterno. Dopo un po’ qualcuno ci ha detto di andare a casa e di attendere nuove comunicazioni dal sito della Scuola. Queste le circostanze vissute che stimolano alcune riflessioni ‘a caldo’.
Pochi tra gli studenti avevano chiare idee circa quello che stavano compiendo: mi riferisco al fatto che molti di loro ritenevano un diritto l’azione dell’occupare (!) quello era un atto formale di protesta ma anche un reato sulla cui imputabilità può pronunciarsi solo un magistrato. Certo la giurisprudenza è unanime nel ritenere che in caso di occupazione di scuole o università manchi il ‘dolo’, ovvero il ‘ricavo di un profitto’, e quindi non vi sia reato (cfr. art. 633, c.p.); lo scopo, infatti, sarebbe quello del forzare la controparte ad accettare proposte e/o condizioni. Tuttavia la Cassazione ha fatto chiaramente intendere che il reato sussiste quando gli occupanti non sono iscritti alla medesima scuola (o università) e quando l’occupazione si protrae oltre l’orario delle lezioni. Se sono (quasi) sicuro che tutti gli studenti che si alterneranno durante l’occupazione sono tutti iscritti al nostro Liceo, non sono sicuro che l’azione si limiti agli orari di lezione (l’occupazione è avvenuta all’alba). Ma c’è di più: in ogni caso si può configurare il reato di interruzione di un servizio pubblico (cfr. art. 331, c.p.) e anche i minori (almeno dai quattordici anni in su) possono essere perseguiti per tale reato (i genitori lo sanno?). Non credo che qualcuno abbia informato i ragazzi di queste eventualità: tuttavia, sono certo, nessuno li vorrebbe imputati ma solo al sicuro.
In ogni caso ritengo questo tipo di occupazione dannosa almeno per tre motivi: innanzitutto la scarsa consapevolezza dei ragazzi sulla portata del loro gesto (la Scuola deve accompagnare anche alla comprensione socio-politica delle proprie azioni). C’è poi da considerare la poca rilevanza che tutto questo avrà sul Jobs Act e sulle riforme della nuova scuola (le proteste ci vogliono ma queste forme di dissenso lasciano il tempo che trovano…). Infine la vera questione: l’interruzione del servizio scolastico. Forse qualcuno –tra studenti e docenti– sarà contento di poter godere qualche giorno di ‘sospensione didattica’ in più, ma sicuramente tutti, alla fine delle agitazioni, avvertiranno un vuoto didattico da colmare con un recupero che si tradurrà in una corsa ai ripari dopo le vacanze natalizie (tanto che i risultati saranno non troppo soddisfacenti proprio dal punto di vista della didattica pubblica –che i ragazzi vorrebbero ‘salvare’–). Tutto questo fa sorgere una grande amarezza: possibile che questo tempo non si possa usare diversamente per prepararci a cambiare la nostra Città, il nostro Paese?
Queste azioni non andrebbero in qualche modo comunicate agli organi di stampa per dare visibilità alla protesta?
Ben vengano dunque le manifestazioni, ma che portino alla manifesta responsabilità che tutti ci impegniamo a capire di più ciò che ci ha preceduto e che ci circonda, al fine di eliminare ciò che è dannoso per la crescita di tutti e della democrazia. Se non si cresce nella responsabilità rischiamo che queste proteste aumentino il divario tra studenti del Sud e quelli del Nord ma anche tra studenti italiani e quelli degli altri paesi europei. Certo è che nessuno vuole che l’occupazione si traduca in reato, almeno se si tiene conto di quanto scritto sopra; essa può essere anche una forma di protesta democratica. E, si sa, tutte le forme di protesta democratiche sono una linfa per la democrazia stessa. La Scuola è anche uno dei luoghi privilegiati per la formazione alla democrazia ed alla responsabilità civile. E, per far crescere questa comune responsabilità della cosa (della res) pubblica, passi anche l’occupazione delle scuole o delle università. Ma ad una sola condizione: che tutto questo serva a rivendicare il diritto di manifestare insieme a proposte concrete e ragionate, senza però far cadere la manifestazione dei propri diritti nel nulla, in una perdita di tempo. Tutto questo senza commettere reati se si può e, soprattutto, coinvolgendo tutti nella forma di protesta, almeno dal punto di vista della comunicazione e della informazione.
Le circostanze mi rimandano ai miei tempi liceali, ai tempi della ‘pantera nera’ (movimento studentesco dell’epoca): associato ai ricordi di assemblee permanenti, di occupazioni e di manifestazioni vi è anche un senso di responsabilità unito ad un senso di labilità ed inconsistenza di quelle stesse manifestazioni… Oggi guardo ai ‘miei studenti’ e rifletto se siano tutti veramente convinti che qualcuno, alla Provincia, alla Regione o al Governo, sa che il Liceo è stato ‘occupato’ e che verrà mosso e commosso da ‘questa’ forma di protesta per cambiare idea su qualcosa.
Vorrei che alla fine questa forma di protesta non si trasformi solo in qualche giorno di ‘vacanza scolastica’ in più e che tutti escano da questa esperienza più consapevoli del loro impegno sociale e della propria coscienza politica.
Cosa prevarrà? La vacanza didattica o la responsabilità sociale?
E il dilemma si fa più pressante con le nuove notizie dei raid nelle scuole napoletane a suon di atti vandalici ed odor di creolina… Da martedì il dubbio su cosa prevalga tra labilità e responsabilità è forte e, tutt’ora, permane.
E se gli studenti, a loro insaputa, fossero solo una testa d’ariete che qualcuno usa per infiltrarsi negli edifici scolastici?
Spero di no! Ai ragazzi, ed ai loro genitori, il compito di fare la propria responsabile scelta democratica.
Umberto Rosario Del Giudice