Data il gran numero di prenotazioni, il tributo a Mario Musella si è svolto al Palapartenope, ieri, 26 novembre, con circa tremila presenze di pubblico e un parterre de roi musicale che ha saputo ben rappresentare tutte le anime di Partenopee.
Lo spettacolo ha inizio con la voce e la chitarra di Nicola Mormone (Marzo), per permettere al pubblico di entrare con dolcezza in questo spettacolo che è giunto ormai alla quinta edizione sotto la direzione artistica di Franco Del Prete; l’arrivo sul palco del Giardino dei Semplici con un piccolo medley (Non si può leggere nel cuore, Mi sei entrata nel cuore) apre le porte al tempo, e ci fa respirare aria di Mario, sia per l’aspetto -non trascurabile- della comunanza temporale tra il gruppo e l’artista scomparso, sia per il fatto che la cifra stilistica dei GDS attinge a quegli anni, pur avendo imparato ad evolversi.
“Dolce sweet M” (pezzo scritto da Avitabile per lo “Zio” Mario) viene affidato alla voce di Monica Sarnelli, che riempie il palco con la sua bellezza; doveroso da parte dell’organizzazione, onorare la memoria di un poeta di questa città, non abbastanza apprezzato in vita e quasi misconosciuto ora: Paolo Morelli, frontman di una band (Gli alunni del Sole) che, sul finire degli annni Sessanta, seppero scrivere pagine bellissime di musica italiana. A ritirare il premio suo fratello Bruno, accolto da Gianni Simioli e Carmine Aymone. Nessun intento retoricamente celebrativo nell’organizzazione di SuonidelSud, quanto piuttosto il desiderio forte di accogliere tutte le voci di Napoli e farle incontrare nel nome di Musella, scomparso ormai da trentacinque anni, a cui la generazione successiva al neapolitan power riconosce il giusto credito; in quest’ottica si legge la presenza di Sangue mostro, Dj Uncino, DJ Jad (premiato da Carmine Aymone), Valerio Jovine (Napulitan), rap e ragamuffin per ricordare a tutti che Mario è e resta una parte della nostra città, di quella Napoli che sa mischiarsi, che si contamina e incontra altre culture, introiettandole e rielaborandole. I Sangue mostro vengono premiati da Federico Vacalebre e la sua presenza, insieme a quella di Gianni Simioli sul palco, ci rammentano che il Rappello e la Radiazza (anzi la Rappazza) da tempo lavorano per portare alla luce i piccoli tesori hip pop che Partenope cela, inaspettatamente, nel suo ventre.
La versione di Jovine di “Non si può leggere nel cuore” graffia ed emoziona e ridona l’incanto ad un brano che è ben più di una cover, anche quando lo termina in accenti meravigliosamente ragamuffin, come è lecito aspettarsi da lui, dal suo percorso musicale. Riceve, giustamente, il premio “Special Rock” dalle mani di Michelangelo Iossa, che anche quest’anno sarà al PAN per la consueta rassegna Rock.
Altra cover ben lontana dal parametro imitativo è stata quella di Francesca Marini (Storia d’amore n.1); l’ottimo arrangiamento la cala perfettamente ai nostri giorni, anche se è stata scritta negli anni Settanta. Lo stupore si amplifica con l’esibizione dei Foja (Che m’è fatto), in cui la voce di Dario Sansone, con la sua timbrica, non poteva non lasciare qualcosa di sè e del percorso -assolutamente innovativo nel panorama campano- musicale del gruppo al brano di Mario.
La partecipazione di Tony Esposito con la resident band del premio (diretta da Lino Pariota) ha dato inizio ad un vero e proprio viaggio spazio-temporale, in cui si parte da un brano del 1975 (Rosso Napoletano) e si gira in tondo, per arrivare al nuovo millennio senza aver cambiato una nota: potenza di un musico di rango, avanti di molti decenni. Gli Audio 2 cantano “Ci crederesti se”, e già l’intro del brano dice molto alle orecchie di chi ama il soul e il blues; dopo di lui, “la storia con la S maiuscola”, come spesso ha ripetuto Carmine Aymone: James Senese e Napoli Centrale (Gigi Di Rienzo, Ernesto Vitolo, Fredy Malfi) che strappa applausi a scena aperta con l’esecuzione di brani come “E’ ‘na bella jiurnata” e “‘O nonno mio” e viene premiato, anche lui, con la emme disegnata dal maestro Lello Esposito in occasione di questa manifestazione.
E’ tutto un crescendo, ormai, e il pubblico fatica a star seduto quando Fabrizio Fierro attacca “Credi credi credi” con una voce potente e una presenza scenica non trascurabile, tacendo solo per lasciare spazio agli assoli della mandolina di Piero Gallo, imperturbabile presenza dello stage; il turn over vede Aurelio Fierr jr sostituire il fratello al microfono mentre Francesco Del Prete rimpiazza il padre alla batteria. Cambi veloci, senza spezzare il fiato, mentre il treno è ancora in corsa: complimenti al direttore di palco.
Sul finale arriva la Napoli che fa storcere il naso a molti, perchè sembra che a nessuno piaccia il degrado in cui versano le nostre periferie (la Napoli altra, come scrive Enzo Avitabile nell’ introduzione del libro “Nero a metà” di Carmine Aymone, dedicato a Mario Musella); eppure anche questa parte della città ha la sua storia da narrarci. Maria Nazionale è sul palco a rammentarci che se i portoghesi ci avesso lasciato il Fado (o, per meglio dire, se noi napoletani lo avessimo lasciato intatto…) lei sarebbe la nostra Misia, con la sua versione di “Un’ora sola ti vorrei”. Meritato il premio che le consegna Nino Daniele, assessore dalla grande sensibilità che ha lavorato duramente per regalare un pezzo importante di Napoli, un altro, al Forum delle Culture.
I Sud Express ci ricordano chi siamo e in che condizioni viaggiamo sul treno della vita con il nuovo inno, Enzo Gragnaniello propone una ispiratissima “Sto cercando” che, ormai, è sua e il gran finale viene affidato a quel Franco Ricciardi che, partecipando anche in veste d’attore alla pellicola dei Manetti Bros “Song ‘e Napule”, ha saputo portare a Napoli un David di Donatello per il brano ” ‘A verità”, eseguito dopo la splendida “Gloria ricchezza e te”. Premiato da Peppe Ponti, resta per poco tempo padrone del palco; tutti gli artisti in scena acclamano Patrizia Musella e Alessandra (la figlia di Mario) sul palco e lì non conta più nulla, solo la musica e le mani alzate verso il Cielo, a salutare la signora Anna (la madre di Mario), che seppe fare in anni difficili, la scelta controversa di crescere da sola un figlio che molti chiamarono “frutto della guerra” e che ebbe sangue cherokee, la black music nell’anima e i natali a Piscinola.
Solo a Napoli puoi.
Monica Lucignano
Photo: Carmine Iandiorio, Angela Garofalo