Domenica 23 Novembre, è una domenica come tutte le altre, un giorno qualunque… O forse no.
Stamattina, Marco si è svegliato, ha messo un paio di scarpe da running, ha aperto la porta di casa e si è lanciato nel sole sulle note di “TNT” degli AC/DC.
Nadia, invece, ha fatto colazione, ha acceso lo stereo in camera sua e ha iniziato a studiare per la tanto temuta verifica del lunedì; la matematica non è mai stata il suo forte ma con Katy Perry le equazioni sembrano meno terribili.
Dal piano inferiore, si ode un insieme di rumori, è Marta, la mamma di Nadia che, come ogni domenica, prepara il suo fantastico ragù mescolando, tritando, saltando e soffriggendo al ritmo dei Kool & The Gang… Get down on it baby!
Cosa hanno in comune tutte queste persone?
Qual è il filo rosso che le lega ad altri miliardi di persone in tutto il mondo?
La musica!
Per alcuni “Arte fondata sul valore, la funzionalità e la concatenazione dei suoni” per altri “Mix di sette note e qualche pausa che, se sei bravo, ti costringono a ballare” per altri ancora semplicemente “emozione”.
È proprio questa la parola chiave: “Perchè mai?” Vi chiederete voi… Arriviamo al dunque.
La Wurlitzer, così come la Rock-Ola e la Seeburg, era una casa americana che si occupava della produzione di pianoforti automatici funzionanti a moneta.
Questi, posti in luoghi pubblici e privati, permettevano a chi sapesse suonarli, di intrattenere amici, parenti e, magari fare colpo su una bella signorina al primo appuntamento.
Il problema era saper suonare il piano, cosa volete che sia!
Mettiamoci che in quegli anni avvenne il boom di una certa cosa chiamata radio… La ricetta per il fallimento di queste case era già pronta.
Però, come sicuramente saprete meglio di me, c’è sempre qualche persona pronta a ragionare fuori dalle righe, qualche persona che magari, soffrendo d’insonnia, miscelando pazzia e genio, arriva alla creazione di qualcosa di sensazionale, qualcosa in grado di emozionare. Questo qualcosa venne battezzato col nome di “Scatola per ballare” nel 23 novembre 1889: il giorno della pubblica dimostrazione a San Francisco da parte di Louis Glass e William S. Arnold, i padri del jukebox, il primo strumento al mondo in grado di riprodurre, ovunque e in qualunque momento, le hit che più infiammavano gli animi delle generazioni di quell’epoca che, inserendo una monetina, avevano il diritto di scegliere uno tra i tanti dischi a disposizione.
La produzione massiccia iniziò con la Wurlitzer che nel 1936 riuscì a piazzare sul mercato più di quarantamila “compagni sonori”, seguita immediatamente nelle vendite dalle rivali Seeburg e Rock Ola, case con le quali avviò una battaglia senza esclusione di note.
Ogni anno veniva prodotto un nuovo modello che doveva essere venduto per lo più ai noleggiatori, i quali a loro volta si occupavano di affittarlo ai gestori dei locali pubblici. Apparecchi ancora perfettamente funzionanti venivano rimpiazzati da modelli più nuovi, in quella sorta di corsa al consumismo che era dettata dalla moda.
Risultato? Nel giro di circa 25 anni il jukebox diventò parte integrante della vita di milioni e milioni di americani che, un disco alla volta, ballavano, studiavano, correvano, mangiavano, ridevano e magari facevano anche l’amore. Insomma si emozionavano sulle note dei loro miti, proprio come accade oggi a Marco, Nadia e Marta.