Il cavallo di ritorno. Pratica tipica di coloro che rubando qualcosa richiedono un riscatto per consegnarla al legittimo proprietario. Ma cosa succede se cominciano a scomparire La Statua di Dante, o il Cristo Velato dalla cappella San Severo? Questo è essenzialmente il punto di partenza del nuovo romanzo di Peppe Lanzetta “Il cavallo di ritorno” ovvero la prima indagine del commissario Ugo Peppenella.
Il commissario Peppenella è un uomo triste e solitario, intrattabile quasi al limite della sopportazione, che vive quasi per inerzia. E’ un napoletano atipico che tifa Juventus, mangia kebab e beve birra. Don Salvatore è a capo di una gang i cui affiliati, tutti di nome Diego, ovviamente in onore di Maradona e numerati da 1 a 87 per facilitarne la riconoscibilità, sono dediti al malaffare e in particolare sono specializzati nel cavallo di ritorno. Peppenella si troverà ad indagare su una serie di omicidi legati a questa pratica in una Napoli dai mille toni e dalle mille voci.
Il nuovo libro di Lanzetta, pubblicato dalle Edizioni CentoAutori, offre molti spunti. Bella la costruzione della trama dal ritmo piacevolmente incalzante, anche se essa risulta quasi essere solo un pretesto. Potrebbe sembrare quasi una “furbata”,soprattutto in un periodo particolarmente felice per commissari e brigadieri letterari ancor di più se raccontati da penne napoletane, ma chi conosce l’autore attraverso i suoi libri e i suoi lavori teatrali può smentire, con una certa tranquillità, “o mal penziero”.Il racconto delle indagini infatti fa da sfondo a quella che è la vera protagonista del romanzo: Napoli.
L’autore racconta la città come solo lui sa fare,partendo dal basso,dal suo ventre perché così la conosce e la vive.Parla della città con il linguaggio che le è proprio, quello gergale,quello del popolo di cui l’autore rivendica da sempre e con orgoglio l’appartenenza.Lanzetta è uno dei pochi che riesce a raccontare la città senza stereotipi e senza banalità, a farci vivere in pieno le sue contraddizioni, le sue meraviglie e le sue nefandezze attraverso uno sguardo che è allo stesso tempo innamorato e disincantato. Il suo essere artista poliedrico si ritrova nei personaggi e nella scrittura, il suo modo di fare teatro e cinema regalano al racconto poesia e suggestione in un alternarsi di tragedia e farsa dove la distinzione tra il bene e il male non è mai netta, dove il compromesso, nell’accezione più negativa del termine, la fa da padrone e fa uscire alla fine tutti un po’ sconfitti. Molto bella e significativa la prefazione di Maurizio De Giovanni.
Da leggere e assaporare anche se il suo retrogusto risulterà ai più un po’ amaro !