Vi ho già parlato di Gennaro, un ragazzo del nord di origini meridionali. Per chi non l’avesse letto, trovate qui il resoconto della prima parte della lunga chiacchierata che ho avuto con lui: http://tinyurl.com/lnmfwds
Gennaro mi dice che alle scuole elementari aveva molti amici perché tutti lo consideravano simpatico. Pensava che il suo essere simpatico dipendesse dal suo modo d’essere, in realtà, mi confessa, solo più tardi, crescendo, si è reso conto che ciò che lo rendeva tanto apprezzato da amici e coetanei era il suo modo parlare diverso, proprio quel modo di parlare che un ingenuo bambino di tre, quattro anni non poteva individuare con cognizione.
Come ti parli, vecio? ‘Come parli vecchio?’ (vecchio, in veneziano, si usa per indicare una persona che si conosce da molto tempo, ndr). Sarebbe stato un maestro, al quarto anno delle elementari, a rivolgere la domanda al piccolo Gennaro. Se l’attenuante è il fatto che il maestro fosse molto giovane, tuttavia Gennaro, oggi, se la ride. Avessi avuto qualche anno in più, gliele avrei cantate, però – mi dice.
Ma facendo un resoconto dei tuoi primi anni, hai trovato delle vere difficoltà in una città, diciamolo fuori dai denti, leghista?
No, devo essere sincero. Ma cosa ne poteva capire un bambino/ragazzino? Certe cose, siamo schietti, si capiscono solo ad una certa età, ed io, qualche problema, ho cominciato ad averlo al primo anno di liceo, quando per scelta ho cambiato città.
Non di residenza, sia chiaro. A 14 anni Gennaro decide di frequentare il liceo classico, ma vuole cambiare aria, fare nuove conoscenze. Si iscrive in un istituto della provincia di Treviso, una scelta che mi confessa essere stata la più infausta della sua vita.
Ma chi m’ha fatt fa?!?
Il problema risiedeva (e risiede tuttora, dice) nelle persone. Anzi, nella cultura di una città chiusa nei suoi ideali. Degli ideali che non capirò mai, per i quali la terronia è un male da estirpare. Per i quali la terronia inizia sotto il Rubicone, o meglio, l’Italia finisce sopra il Rubicone.
(segue)