‘La musica è una macchina per sopprimere il tempo’ , forse quando Claude Lévi-Strauss ha elaborato questo pensiero era proiettato al rapporto dei napoletani con la musica.
Nasce ispirata dalla sua terra, la canzone popolare, nasce per elogiarne i colori, le forme e a volte anche gli odori.
Canticchiare per alleviare le pene, comporre per dar voce al dolore, note e parole per continuare a brillare.
Più combatteva contro le ingiurie, le occupazioni straniere, più Napoli si ribellava cantando.
Dilaga, sul finire del cinquecento, in tutta Europa, diventando un genere musicale di enorme interesse e lodevole fattura.
Testi come “Michelemmá” di Salvator Rosa, “Simmo ‘e Napule paisà” di Peppino Fiorelli , “Funiculí Funiculá” di Aniello Califano, per citarne alcuni, trasformavano in musica e parole, gli stati d’animo e la forza di volontà di gente comune che non abbassava la testa e non lasciava spazio agli eventi negativi .
Il canto popolare resta attuale attraverso i secoli e si lascia cantare senza distinzione, scoprendosi sempre nuova e passionale ma soprattutto, distinta e ben lontana da una Napoli che vuole essere ‘cantata’ da voci che non arrivano alla nota e che non sono nelle sue corde; i cantanti neomelodici che vengono fuori come funghi, ledono un aspetto fondamentale della cultura musicale napoletana, nel mondo : la veracità pulita e semplice! Gli pseudo rappresentanti , odierni, della musica napoletana non saranno mai, neppure in fotocopia, i nuovi Aurelio Fierro, Sergio Bruni, Mario Trevi o più attuali come lo scugnizzo Nino D’Angelo o il poeta Pino Daniele.
La tradizione si tramanda per far si che il passato non si cancelli e non venga dimenticato e se negli anni, le voci di Napoli ,sono riuscite a suscitare stima, ammirazione, stupore, invidia e a tratti mal riuscita imitazione, null’altro si può aggiungere a ciò che, nel tempo, resta indelebile! E se per assurdo,ora, vi venisse voglia di canticchiare “O’ surdato ‘nnamurato” o “Malafemmina” o “Luna Rossa” fatelo, ma non a bassa voce.