6 Novembre 2010: l’alba di quel sabato mattina illumina un’amara sorpresa sulle antiche rovine di Pompei.
Crolla la schola armaturaum, la storica “palestra dei gladiatori” degli scavi di Pompei.
All’origine del crollo delle infiltrazioni d’acqua prodotte dalle abbondanti piogge dei giorni precedenti: l’acqua, raccoltasi in un terrapieno alle spalle dell’armeria di via dell’Abbondanza, avrebbe fatto pressione fino al definitivo collasso della struttura. Davanti ai tecnici della Soprintendenza si para uno spettacolo desolante: di quella che un tempo, probabilmente, ospitava il Collegium Juventutis Pompeianae (società di ginnastica e di sport dell’aristocrazia pompeiana) non resta che un cumulo di macerie.
Quel che resta del luogo emblema del vigore e della forza degli antichi gladiatori romani è solo un cumulo di macerie.
Nelle ore successive una bufera travolge la triste sconfitta che irrimediabilmente distrugge un reperto storico dal valore indicibile, infatti infuria la polemica su giornali e TV, dove si parla di tragedia sfiorata, pensando al fatto che sarebbe potuto accadere, in pieno giorno, durante l’apertura al pubblico. Quello che quel 6 novembre di quattro anni fa venne recepito come uno spiacevole episodio dettato da una calamità che non poteva essere preventivamente contenuta, nelle settimane successive si configura come il primo grave campanello d’allarme sullo stato di precarietà dell’area archeologica più visitata al mondo.
Innumerevoli, infatti, gli episodi analoghi: in primis, i crolli alle domus, le cui immagini faranno il giro di tutti i media internazionali, dando vita a un ampio movimento d’opinione in difesa dell’antico sito romano. Nonostante la miriade di annunci roboanti di grandi sponsor privati e i primi stanziamenti di fondi delle istituzioni, nazionali ed europee, si registreranno gravi ritardi nell’azione di salvaguardia e rilancio delle domus e della struttura in generale, patrimonio storico e culturale di indiscussa ed inestimabile rilevanza abbandonato al suo triste ed ingiusto destino: quello dettato dal Fato, ma ancora di più da quella sciatta approssimazione puramente umana.