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Morire di fame pur di non morire di vergogna

Luciana Esposito di Luciana Esposito
4 Novembre, 2014
in DILLO A NAPOLITAN, In evidenza, News
3
Morire di fame pur di non morire di vergogna
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imagesMHGRURJ6Esiste il dramma dei troppo grassi, denigrati e derisi da chi è obeso di stoltezza e superficialità, ma anche quello dei troppo magri, quelli che un tempo erano grassi e che vengono spinti nel letale baratro dell’anoressia proprio da quel branco di cannibali della “diversità”.

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Quella diversità imbottita di stereotipi, falsi miti e valori aridi che i tronisti e le veline concorrono a forgiare a loro immagine e somiglianza. Questa è la triste premessa che introduce la storia di Stella: l’anima di una fragile donna che aveva appena 11 anni quando nella sua vita si è disegnato quel crudele destino.

“Fin dal primo giorno delle scuole medie ho capito che sarebbe stata dura. Sono stata subito presa di mira: per l’apparecchio ai denti, per gli occhiali, per il mio sedere tanto più grosso rispetto al resto del corpo.

Mi tiravano i capelli, mi strattonavano, mi insultavano.

Di giorno in giorno la situazione peggiorava sempre di più: pizzichi, calci e schiaffi, mi colpivano alle spalle, per non farsi riconoscere, pensando che così non mi sarei potuta difendere, incapaci di comprendere quanto fossi comunque indifesa, arrivarono ad indirizzarmi perfino sputi.

La scuola era diventata un incubo.

Di notte non riuscivo a dormire, ma piangevo.

Mi guardavo allo specchio e mi sentivo una nullità.

Imploravo mia madre di farmi togliere l’apparecchio, ma lei non capiva, non poteva capire, pensava che fosse un atto di vanità e non poteva assecondarmi.

Provavo a disfarmi degli occhiali, ma facevo troppa fatica a vedere.

Così iniziai a fare sport, tanto sport: ginnastica e pallavolo, i miei sport preferiti, la mia palestra di vita. Dieta, sport e studio, nelle mie giornate non c’era altro.

Credevo che le mie compagne di squadra fossero mie amiche, ma, una volta, alla fine di un allenamento, mentre ero nello spogliatoio le sentii ridere di me, anche loro denigravano il mio aspetto: “Con quel sommergibile che si ritrova come spera di poter fare sul serio?”

Quelle parole mi hanno fatto crollare il mondo addosso, mi sentivo sola.

Persa e sola.

Ho iniziato ad odiare il cibo, anche se amavo mangiare, ormai in torte, pizza, pasta e pasticcini vedevo i miei più grandi nemici.

Mangiavo sempre di meno, a volte saltavo i pasti con delle scuse.

Avevo fame, ma dicevo a mia madre che cenavo da un’amica.

Ma quale amica?

Io non ho amiche.

Ma mia madre non poteva saperlo, mi vergognavo di confidarlo perfino a lei.

Allora, anziché mangiare, correvo, correvo e correvo.

Per bruciare i grassi e per sbollire la rabbia che avevo dentro.

Passarono mesi che diventarono anni, il mondo mi vedeva deperire, mentre io mi vedevo sempre più grassa ed imperfetta e nella mia testa rimbombavano incessantemente le risate dei bulli, le battute al veleno, il mio disagio, la mia vergogna, il mio senso d’inadeguatezza.

Ovunque andavo, con chiunque ero.

Non ero mai cresciuta, non ero mai cambiata: ero rimasta quella “culona” con gli occhiali e l’apparecchio. Anche se gli occhiali e l’apparecchio non li avevo più e non avevo più neanche il culone.

Ormai ero in un vortice di autodistruzione dal quale nessuno ha potuto salvarmi, perché io non ho voluto salvarmi.”

Stella è morta all’età di 21 anni.

A nulla è servito il ricovero in un centro di recupero specializzato e il costante supporto psicologico, Stella non è riuscita a liberare la sua mente da quelle voci che l’hanno condotta alla morte. A raccontare la sua storia sono le pagine del suo diario segreto il suo unico e fidato amico.

A consegnarcelo è mamma Mirella, unitamente ad un messaggio del quale sarebbe doveroso fare tesoro: “Stella è il nome che ho scelto di ridare a mia figlia per raccontare la sua storia affinché chi vive nella sua stessa condizione possa trovare nella sua sconfitta la forza e la speranza necessari per fare in modo che questo non sia il loro stesso destino e lottare per riprendersi la vita, anche per la mia Stella. Non ho voluto che si rendesse noto dov’è nata, vissuta e morta, perché questo è un dramma che si consuma a Torino, Milano, Roma, Napoli, Palermo. In tutta Italia. In tutto il mondo, ci sono ragazzini che soffrono e si fanno del male a causa della cattiveria di altri ragazzini. Perdere una figlia così è un dolore che non si può raccontare. Non faccio altro che leggere le pagine del suo diario, l’unica cosa che mi resta di lei e continuo a chiedermi dove ho sbagliato e cosa avrei potuto fare di più per aiutarla. Purtroppo noi genitori non possiamo sempre proteggere i nostri figli come vorremmo. Non tutti i genitori sanno fare i genitori come vorremmo. Posso solo sperare che la mia Stella possa trovare da lassù la forza che le è mancata quando era in vita per parlare ai cuori dei bulli, affinché lei sia “l’ultima Stella”.”

Mamma Mirella ha voluto fortemente che la storia di sua figlia fosse pubblicata oggi, proprio oggi… Nel giorno dell’anniversario della morte della “sua Stella”…

      

Tags: adolescentianoressiabullismodietainsultischiaffisportstella
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