Il fato beffardo gli ha negato la gioia di spegnere le 94 candeline, così Antonio Sibilia, patron storico dell’Avellino, è morto una settimana prima del suo compleanno.
Malato da tempo, Sibilia si è spento a Mercogliano (Avellino), una vita densamente condita di calcio la sua: gran scopritore di talenti, a lui devono le loro fortune Nando De Napoli, Beniamino Vignola, Stefano Tacconi e Luciano Favero, e soprattutto Juary, il brasiliano che festeggiava i gol ballando la samba attorno alla bandierina del calcio d’angolo.
Ha ricoperto la carica di presidente dell’Unione Sportiva Avellino dall’ottobre del 1970 a giugno 1975, dal 1982 al giugno 1983, e infine dal 1995 all’estate del 2000, quando ha lasciato definitivamente la proprietà della squadra. Negli anni in cui l’Avellino militava nella massima serie diventò famoso in tutta Italia per gli innumerevoli strafalcioni linguistici e per il modo in cui gestiva non solo le finanze della società, ma anche i suoi calciatori. È nota, infatti, la sua avversità nei confronti dei “capelloni” e di coloro che avessero orecchini, tatuaggi e ogni altro tipo di abbellimento estetico.
Nell’ottobre del 1980 si reca accompagnato da Juary a una delle tante udienze del processo che vede imputato Raffaele Cutolo, capo incontrastato della Nuova Camorra Organizzata. Durante una pausa saluta il boss con tre baci sulla guancia e gli consegna tramite Juary una medaglia d’oro con dedica «A Raffaele Cutolo dall’Avellino calcio». Giustificherà il suo omaggio con queste parole: “Cutolo è un supertifoso dell’Avellino; il dono della medaglia non è una mia iniziativa, è una decisione adottata dal consiglio di amministrazione”
L’intera vicenda suscita l’interesse giornalistico di Luigi Necco, che il 29 novembre 1981, mezz’ora prima della partita Avellino-Cesena, viene gambizzato in un ristorante di Avellino per mano di tre uomini inviati da Enzo Casillo, detto ‘O Nirone, luogotenente di Cutolo fuori dal carcere.
La storia non può più passare inosservata ed Antonio Sibilia finisce nel mirino della magistratura.
Scattano, per lui, la detenzione ed un lungo processo per associazione per delinquere di stampo mafioso iniziato il 17 maggio 1984 con l’accusa di essere stato il mandante dell’agguato contro il procuratore della Repubblica di Avellino Antonio Gagliardi, avvenuto il 13 settembre 1982. Il processo si concluderà con la totale assoluzione dell’imprenditore irpino.
Una vita intensa e vissuta a vele spiegate quella di Sibilia che, nel bene e nel mare rappresenterà in eterno un possente pezzo di storia dell’Avellino calcio.