È un ottobre insolito e strano quello che si sta consumando nella passionale e complessa Napoli.
Il clima tipico e peculiare di questo periodo, quello che funge da sala d’ingresso nella quale pazientemente accomodarsi, prima di giungere al cospetto del patinato e scintillante Natale, quest’anno stenta a sopraggiungere.
Quest’anno, infatti, Napoli ha scelto di rimanere aggrappata al sole e continuare a scippargli i raggi più miti e calorosi per protrarre a sorpresa ed oltre le più rosee ed ottimistiche aspettative, il bel clima che rende “O paese d’ ‘o sole” rinomato in tutto il mondo, ben oltre i tempi supplementari.
Quella rovente e decisa sfera infuocata che troneggia sulla città, in realtà, personifica in maniera assai eloquente la speranza che bolle nelle vene di questa terra: quella che le mani delle madri, raccolte in religiosa preghiera, riversano in un futuro migliore per i loro figli; quella dei padri, stanchi di mordere stenti e sacrifici; quella dei commercianti, stanchi di sfidarsi a braccio di ferro con tutti quegli onerosi macigni contro i quali, ogni giorno, devono misurarsi per poter alzare la saracinesca; quella degli anziani che, affacciati alla finestra della vita, scorgono il loro, intimo e personale tramonto e vorrebbero impegnare quei fugaci scampoli di respiri e sospiri che gli restano da boccheggiare soltanto facendo “i nonni e i pensionati”; quella dei ragazzi che vorrebbero trovare qui la zappa di cui hanno bisogno per solcare il sentiero del loro futuro ed i solidi mattoni necessari per delimitarlo con mura di cinta imperturbabili e sicure, piuttosto che indossare la maschera dei “cervelli in fuga”; quella dei bambini ai quali è stato riferito che, quest’anno, probabilmente Babbo Natale non riuscirà a passare dalle loro parti, perché le ruote delle renne si sono bucate e quell’ anziano e generoso signore che si prodiga a dispensare regali a tutti, non ha soldi per ricomprarle; quella di gente costernata, avvilita e sfinita, come tutte le altre anime che risiedono in Italia, del resto, destreggiandosi tra l’inerzia risolutiva della classe politica, abile solo a sfornare tasse, infliggendo su quei corpi già largamente tumefatti, nuove, riprovevoli e turpi mazzate e qualche sconvolgente episodio di violenza domestica, piuttosto che di ordinaria e surreale follia.
Tuttavia, Napoli funge da cassa di risonanza dell’Italia: qui la povertà è più dilagante, la disperazione più agghiacciante…E l’amore, nonostante tutto, qui non sopravvive, ma vive.
Vive in quel sole, specchio dell’anima di questa terra, suo malgrado, avvelenata e martoriata, ma pronta, ancora una volta, a rialzarsi e reagire per agguantare il suo ennesimo e liberatorio riscatto.
Questo è il senso che ritrovo in questa strana “estate autunnale”…