Siamo nel cuore di Napoli, in quel mosaico di storia e caos che più di ogni altro detta legge in termini di movida: San Pasquale a Chiaia, più popolarmente nota come “la zona dei baretti”, un labirinto di vicoli e vicoletti, all’interno dei quali s’incastonano locali, ricercati e raccolti, avvezzi a dissetare e sfamare brama di relax e desiderio di divertimento.
Il sole sta per calare ed introduce “l’happy hour”: l’ora dell’aperitivo.
Siamo al Seventy, uno dei locali più rinomati e frequentati dal popolo partenopeo e Paolo Manna è “l’angelo vestito di nero” che, da impeccabile padrone di casa, ci spalanca le porte della Napoli by night e ci guiderà in un affascinante e mai sonnacchioso viaggio che ci consentirà di vedere, capire e vivere la movida napoletana attraverso gli occhi di chi quotidianamente la respira da dietro al bancone.
Una fisicità e un entusiasmo che sbeffeggiano i 20 anni di esperienza fin qui macinati da Paolo e quel talento che si ancora su solide radici: in primis, la scuola di Barman FBS, dove ha avuto l’opportunità di “imparare il mestiere” da uno degli insegnanti migliori della scena partenopea, Pino Ascione, gli assidui e costanti corsi di formazione ed aggiornamento, un breve trascorso da bar-back, per poi iniziare l’ascesa, prima barman, poi capo-barman e infine responsabile di alcuni locali. Nel 2009 Paolo al Seventy ci è finito quasi per sbaglio, lavorava per un bar catering e fu chiamato per una serata che doveva essere di sostituzione, ma che in realtà si è tramutata nella “serata della consacrazione”.
Perché, ormai, quello è il suo regno, a prescindere dal ruolo di responsabilità che ricopre, Paolo è l’anima del locale.
Questo è quanto traspare dal cordiale saluto dell’incravattato libero professionista di turno, ma anche da quello stentato di uno stanco e fulgido tailleur al telefono che si trascina accanto al bancone, salutandolo con un semplice e fugace “scodinzolio” di mano.
Eppure Paolo è un incessante dispensatore di cortesia e sorrisi.
Ed è anche quello a fare la differenza.
È paradossale che a dover distribuire rassicurante e comprensiva cordialità, al cospetto di chi si è appena lasciato alle spalle una giornata di lavoro, sia proprio chi in quel momento sta avviando il suo parimenti denso ed intenso turno di lavoro.
Perché, come lo Paolo stesso più volte sottolinea: “Quella del barman è una figura troppo spesso e gratuitamente bistrattata. Il nostro è un lavoro a tutti gli effetti che richiede serietà e professionalità, spirito di sacrificio e una sana dose di pazienza. E purtroppo mi trovo costretto ad ammettere che nel corso di questi 20 anni ho visto questo mestiere cambiare in peggio, perché quello del barman non è una professione che s’improvvisa e il connubio tra proprietari di locali alla ricerca del risparmio e giovani che senza alcuna qualifica né titolo sono pronti a fiondarsi dietro al bancone, sta sensibilmente abbassando il livello qualitativo della categoria che rappresento.”
E più che con le parole, la professionalità ed il sentimento che lo lega al suo lavoro, Paolo le dimostra con i fatti: attraverso la servile abnegazione che inequivocabilmente e palesemente traspare tutte le volte che si trova al cospetto di un’ordinazione. Che si tratti di un calice da gremire di vino o di una birra da stappare e “condire” con sale e limone o della minuziosa ed impeccabile preparazione di un drink, l’accorta e premurosa padronanza dei gesti rimane invariata. Movimenti meccanici, abituali, eppur avulsi dalla statica e spenta routine, bensì guarniti di elegante e propositiva passione, quella che distingue un “mestiere” da una “professione”.
Quella del barman, carpita aldilà del bancone, risulta una vita apparentemente invidiabile, contornata da lustrini e pailettes, bottiglie pregiate e “bella gente”.
Eppure, scavalcando l’effimero muro di superficiale apparenza che separa quello che vive da una parte e dall’altra del bancone è facile dedurre che la vita di un lavoratore notturno è tutt’altro che facile.
Fare il barman aggiunge e sottrae qualcosa alla vita: “Se non avessi fatto questo lavoro, la mia vita sarebbe stata più noiosa, ma anche più serena. Due aspetti che vanno a braccetto. Questo lavoro mi ha dato di sicuro più fiducia in me stesso, così come il contatto con il pubblico mi ha aiutato a capire i miei limiti e imparare a misurarli. Le persone sono un banco di prova importante per capire i tuoi “gusti umani”, quindi, verso quali genere di persone sviluppi avversione o affinità. Poi c’è l’altro lato della medaglia. Ci sono delle sere in cui desideri rimanere a casa a guardare un film oppure andare a cena con gli amici, così come costruire una famiglia non è semplice, perché significa incontrare una donna in grado di accettare il tuo lavoro e ce si riveli in grado di entrarci in empatia, oltre che ricercare un modo diverso di vivere la famiglia ed eventuali figli. Non sono ipocrita, rimanere single è stata una mia scelta, non dettata di certo dal lavoro. Però, posso dire di aver compensato ed appagato il mio istinto paterno facendo da chioccia agli apprendisti che sono passati per questo bancone. Spero di avergli lasciato consigli ed insegnamenti preziosi, ma, come tutti i figli, poi ti abbandonano. Eppure mi piace molto lavorare con i ragazzi, perché non hanno spocchia.”
Tra un’escursione e l’altra nella vita di Paolo, s’interpone un ordinazione: l’odore della menta che inebria l’aria è quasi più affascinante della magia partorita a suon di ghiaccio ed alcool dalle sue sicure e capaci mani. Tuttavia, agli occhi del mondo quello è un “semplice” Mojito con il quale dissetare l’arco di tempo che barcolla tra la fine della giornata lavorativa e il momento della cena.
Paolo è “uno che ci sa fare”, uno di quelli che grazie al mix, o meglio, al cocktail tra indole caratteriale ed esperienza riesce a carpire i gusti di tutti, utilizzando quei labili secondi dei quali dispone, non solo per preparare un drink, ma anche per intuire come la persona che ha di fronte vuole che le venga servito.
L’umiltà è la caratteristica portante di coloro che riescono ad emergere, l’arma in più che permette ad “uno tra tanti” di diventare “il migliore”.
E Paolo nel suo lavoro è “il migliore”: per diversi anni si è consacrato miglior barman di Chiaia, ma la sua umiltà gli impedisce di tessere le sue stesse lodi.
Ed è per questo che ho voluto che siano i suoi occhi a guidarci in questa avventura: perché sono capaci di “guardare” e non di dispensare fugaci ed effimere occhiate.