Bamboccioni. Svogliati. Privi di idee ed ideali. Passivi. Rassegnati. Sfiduciati e rinunciatari. Indifferenti a tutto. Violenti per noia. Irresponsabili. Vecchi prima di invecchiare. Perduti. Fragili. Ignoranti. Hanno a disposizione mille strumenti di comunicazione ma non dicono nulla. Invisibili. Individualisti ed egoisti. Vivono nel proprio privato, nel quale si ritirano, mantenendo a debita distanza l’ambiente esterno.
Questa è l’immagine che i media e la classe dirigente danno e diffondono dei giovani di oggi. Ma questa loro descrizione corrisponde alla realtà o è solo la somma di una serie di luoghi comuni? I giovani sono davvero così o ci si sofferma solo alla prima apparenza senza indagare il loro mondo a fondo? La generazione del XXI secolo è solo una generazione di aspiranti tronisti, veline, concorrenti di reality show o presunti tali o c’è dell’altro oltre questi stereotipi? I giovani sono davvero muti o sono gli adulti a non ascoltarli? E la colpa a chi va imputata?
Prescindendo dal fatto che ogni generazione sembra essere peggiore della precedente a detta di chi l’ha vissuta, se i giovani sono così è in larga parte dovuto al fatto che gli adulti hanno consegnato loro un mondo ormai deteriorato. Un mondo senza stimoli di alcun tipo. La crisi sembra aver accentuato la rinuncia a qualsiasi impegno. Non si vuole nè studiare nè lavorare. Gli spagnoli parlano di “generacion ni-ni: ni estudia ni trabaja”, cioè di “generazione nè nè: nè studia nè lavora”. Secondo Francesco Alberoni, tuttavia, non è vero che oggi non ci sono più ragazzi dotati, tutto dipende «dall’ambiente che non li aiuta a crescere, ad affermarsi, ma li ostacola e valorizza altri tipi di personaggi. Quand’è che fioriscono i geni? Quando la società ha slancio, ottimismo, fame di futuro e quindi di persone competenti e geniali. Abbiamo una popolazione invecchiata, una economia stagnante, una scuola scadente, una università satellite di quelle anglosassoni, con studenti che non hanno più la passione del sapere. Fra cui si è radicato il devastante convincimento che chi fa bene, chi si prodiga, chi lavora duramente, chi merita, non verrà ricompensato, non avrà successo. Mentre riuscirà chi è spregiudicato, chi appare in televisione, chi trova protezioni politiche. Si è diffusa l’idea che siamo in una “società liquida” in cui non conta ciò che hai fatto, non valgono la lealtà, la parola data. Cosa non vera perché se non resistessero questi valori la società smetterebbe di funzionare. E anche nel lavoro vediamo che i giovani preparati, pronti a lavorare e ad adattarsi, lo trovano. Ma con più fatica. Come fa più fatica chi ha grandi doti e si trova in un ambiente culturale che non lo aiuta e non lo capisce. Per riuscire deve avere una grande fede, un grande ideale e una fiducia di fondo nella natura umana per vincere ogni giorno la sfiducia, il cinismo, l’indifferenza di chi lo circonda».
I ragazzi non hanno interessi e credono che la cultura sia inutile, sostenuti in questo dai messaggi diffusi quotidianamente dalla nostra società dove cultura e impegno non pagano: perchè studiare e sacrificarsi se basta un’ospitata in tv, per motivi leciti e non, a guadagnare quello che un dipendente statale guadagna in 3-4 mesi di duro lavoro? Gli stimoli, invece, sono importanti, e vanno coltivati fin dall’infanzia. Lo psicologo Tommaso Pizzorusso sostiene che «ogni stimolo ha un impatto positivo sulle connessioni nervose: un animale che vive in un ambiente pieno di sollecitazioni ha uno sviluppo neuronale molto più forte di animali che vivono in una gabbietta vuota».
C’è un diffuso sentimento di sfiducia nel futuro che serpeggia tra i “grandi” e che, inevitabilemente, condiziona ed influenza le nuove leve, portate a non credere più a nulla.
La crisi, quindi, sta nell’offerta, non nella domanda. E questo spiega perchè i ragazzi leggono poco e male e perchè, il più delle volte, hanno poche e confuse idee politiche. Secondo Raffaele Simone, linguista e filosofo del linguaggio, oggi «faticano a farsi sentire la fiducia nei ragazzi ed i buoni esempi di adulti capaci di lottare, sognare e progettare. Quale testimone passiamo ai nostri figli se di loro stiamo costruendo un’immagine così desolante e disperata?». Il mondo della cultura e della politica hanno completamente perso i contatti con la società di cui i giovani sono parte viva ed integrante. Ma se nessuno dà loro solide basi e buoni modelli da seguire, come si può pretendere che crescano probi e corretti? In passato la scena sociale, politica, culturale e musicale era dominata da figure come Giuseppe Ungaretti, Aldo Moro, Don Lorenzo Milani, i Beatles. Oggi, invece, ci sono Federico Moccia, Umberto Bossi, Nando del Grande Fratello e Justin Bieber.
Ieri Sandro Pertini diceva «I giovani non hanno bisogno di sermoni. I giovani hanno bisogno di esempi, di onestà, di coerenza, di altruismo». Ed Alcide De Gasperi sosteneva che c’è differenza tra un politico ed uno statista, perchè «un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione». Oggi il ministro Renato Brunetta dice «Basta con la retorica del precariato. Ci sono 4 milioni di stranieri che vengono a fare i lavori che gli italiani non vogliono fare e ci sono 2 milioni di giovani nè nè, che non studiano nè lavorano quando ci sono le imprese che cercano posti di lavoro, specializzazioni che non trovano perchè nessuno vuol fare quei lavori. I precari sono l’Italia peggiore». E il ministro Maurizio Gasparri dice «A volte il Senato, la Camera votano leggi che noi stessi che le votiamo non è che le capiamo bene».
Un conto è vivere in una società permeata di valori ed ideali, viva, in fermento, un conto vivere in una società in cui le leggi si creano e modificano a proprio piacimento, la Costituzione non ha la considerazione che meriterebbe, ci si sposa come se si bevesse un bicchier d’acqua ed anche i sentimenti diventano prodotti commerciali. Mancano principi e solide radici, una cultura dell’etica, una politica virtuosa ed in fieri, non esibizionista e chiusa nelle proprie roccaforti. Il potere economico e la forza lavoro sono custoditi gelosamente dai soliti potenti, che nonostante le loro esperienze sul campo, iniziano ad avvertire i primi sintomi del passaggio del tempo, danneggiando, così, le giovani generazioni. E, poi, ci sono troppo lassismo e troppa burocrazia, uniti al rifiorire della pratica della “raccomandazione”.
Come disse Giovanni Falcone, però, «che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così, solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche ed incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è, allora, che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare».
La verità è che, come in tutte le cose della vita, c’è il buono ed il cattivo. Così, anche tra i giovani, ci sono i fannulloni e ci sono quelli che, invece, si impegnano, lottano per un futuro migliore, non si arrendono, cercano, con sacrificio e con passione di raggiungere i propri obiettivi per veder concretizzati, seppur tra mille difficoltà, i loro sogni. E questa seconda categoria di giovani, quella dei giovani ”normali”, che studiano, lavorano, sognano, è molto più numerosa di quello che si voglia far credere. Anche al Sud, dove sono tanti i talenti giovani. Talenti non intesi esclusivamente nel senso distorto del termine come propinatoci dai vari talent show che affollano la tv generalista e non. Talenti non sono solo ballerini, cantanti, attori, ma sono tutti coloro i quali si sono dedicati ad una certa attività con ardore, con convinzione, e ce la stanno facendo o ce l’hanno fatta.