Oggi avrei dovuto e voluto occuparmi dell’arresto di Genny a’ carogna, delle vicende consequenziali allo scivolone del Napoli ad Udine, esattamente come hanno fatto e stanno facendo tutti i miei colleghi.
Invece no.
Mi trovo costretta, ancora una volta, a parlare di “quella madre e quella figlia”, perché sia chiaro ad entrambe, io questa vicenda vorrei lasciarmela alle spalle e ritornare ad occuparmi di ciò che più mi compete ed appartiene.
Invece no.
Mi vedo negato, ancora una volta, questo semplice, ma irrinunciabile diritto dall’arrogante e becera violenza di “quella madre”.
Sono le ore 13 in punto quando mi giunge una telefonata da un numero privato.
Ho risposto animata dalla speranza che il sentore che mi lasciava prevedibilmente presagire in quale voce mi sarei imbattuta fosse errato, invece no.
Era “quella madre”.
Le ho concesso solo il tempo di dire: “FAMMI CAPIRE A CHE GIOCO STAI GIOCANDO!? IO ORA DIVENTO IL TUO INCUBO!”
Ho riattaccato, perché da quella donna non sono disposta a tollerare altro.
Perché, per me, questo non è “un gioco”, ma è la mia vita ordinaria violata arbitrariamente dal desiderio di vendetta di una donna incapace di capire che ha scelto il capro espiatorio sbagliato e non sa compiere quel passo indietro necessario e sufficiente per ripristinare la quiete in tutte le vite coinvolte in questa assurda vicenda.
Ma sbaglia e commette un errore enorme, se crede di arrogarsi l’importanza necessaria per ergersi ad “incubo”.
Mia cara signora, chi deve dormire sogni poco sereni è chi ha la coscienza sporca, perché macchiata da colpe gravi.
E quella, di certo, non sono io.
Lei stessa ha compreso quanto fosse vile la sua condotta: nascondersi dietro ad un “numero privato” pur di farmi pervenire “il suo messaggio vocale”, tant’è vero che dopo ha richiamato lasciando apparire il suo numero, ma non le ho risposto, perché non merita risposta.
Non è alzando la voce e seguitando con le minacce che scalfirà la fermezza delle mie idee né placherà il mio desiderio di denunciare apertamente lo scempio con il quale seguita ad infangare le mie giornate.
Allora è scesa in campo anche sua figlia che, nonostante tutto, continua a figurare tra i miei contatti Facebook, perché forte è in me la speranza che, leggendo le mie parole e quelle delle tantissime altre persone pubblicamente schierate in mio supporto, possa aprire la mente e decidere di discostarsi dalla violenza, da questa sua condotta e prendere le distanze dal suo esempio, perché vivamente le auguro che sua figlia da questa storia possa trovare la forza per insegnare a lei come ci si comporta tra persone civili.
Ed è per questa ragione che preferisco non rendere pubblici i contenuti dei messaggi di sua figlia, persona a tutela della quale mi sono schierata fin dall’inizio, ma ad entrambe PROIBISCO di continuare ad additare me come proprietaria della pagina “Il Vrenzolario – The Original” in quanto, come da più di una settimana sto ribadendo, è un’affermazione che non trova riscontro nella realtà.
A sua figlia non riesco ad attribuire colpe, perché i genitori non possiamo sceglierli, però possiamo decidere “chi e cosa essere”, quali esempi seguire, quali modelli ergere a punti di riferimento.
A sua figlia ho sempre riservato premure e rispetto e lo sto facendo anche ora, nonostante tutto. Ed è quanto ho esibito anche a lei, dandole sempre del “lei” e seguitando a farlo anche ora, nonostante tutto, nonostante continui a dimostrare di essere tutt’altro che meritevole di educazione e rispetto.
Lasciatemi in Pace.
È tutto quello che chiedo.
È tutto quello che esigo.