Napoli di notte, ultimamente, offre scenari violenti, sanguinosi, pericolosi, allarmanti, nocivi per la quiete e la serenità del suo popolo.
Tuttavia, costeggiando la città in auto, percorrendola meticolosamente in tutti i suoi meandri più dissestati e cupi, avvalendosi dei fari per far luce tra le crepe della notte, accade che si giunge a scoprirne il volto inedito, inesplorato, mai o raramente raccontato.
Eppure giace lì, proprio lì, sotto gli occhi di tutti.
In via Salvator Rosa hanno sparato, appena qualche giorno fa, eppure stanotte ho incontrato donne intente a raccontarsi la vita, sedute a ridosso delle scale della quotidianità.
Il Centro Storico è popolato da balordi e malintenzionati, eppure ho scalato le marce per consentire a ragazzi che camminavano abbracciati di percorrere la via per ricongiungersi con il loro giovane letto, pregno di sogni e belle speranze.
Il Corso Garibaldi è il “Far West”, eppure mi ha consegnato un’emozione mai vissuta prima: percorrere quella lingua di sdrucciolevole asfalto in terza e in regime di semi-solitudine, mentre, in pieno giorno, l’asfissiante caos, il via vai di motorini, fretta ed impeto, impone una lenta e prudente marcia esclusivamente in prima, a passo d’uomo, ma non con il passo peculiare di un lesto e scaltro napoletano.
Talvolta, c’è bisogno di fermarsi, per comprendere la ragione che genera il disordine. Altre volte, come stanotte, occorre percorrere con solerzia e passione, quella via, quei vicoli, quelle crepe intelaiate in un’anima rude e tormentata, per scrutarne la reale e cruda essenza.
Extracomunitari che passeggiano, tanti, tantissimi, ma dai cui passi trapela solo il desiderio di comprendere qual è la strada più giusta da percorrere, in una notte come tante, a ridosso del trambusto della vita. Di notte sembra quasi che abbiano solo voglia di essere uomini liberi e di respirare boccate di emozioni più leggere e scevre da quell’obbrobrioso pregiudizio appesantito da occhiate inquisitorie che contaminano la loro aria di giorno. Quando il sole li rende “diversi” e il colore della loro pelle non può amalgamarsi con quello del buio della notte.
La Stazione Centrale è la fissa dimora della microcriminalità, dei tossici e dei “magliari”: i truffatori di mestiere, quelli capaci di intavolare il gioco delle tre carte e spillare soldi, anche senza tavolo e carte. Stanotte, invece, ho individuato solo corpi adagiati su un triste ed improvvisato letto di cartoni. Corpi inermi, di giorno così come di notte. E forse di notte resi ancor più inoffensivi dal filo spinato di precarietà che avvolge le loro scarne vite.
Di notte le regole si eludono, in maniera diversa rispetto a come avviene di giorno: questo è il messaggio che somma da un’auto della polizia, intenta nella pratica un ordinario giro di pattugliamento. Passa con il rosso, vuol dire che non ha voglia di perdere tempo e in un certo qual modo, secondo un principio inspiegabile e illogico, legittima le altre vetture a fare lo stesso. È come se dicessero: “Non siamo qui per curarci di voi, ma ci sta a cuore che torniate a casa senza imbattervi in incidenti di percorso”.
E così è stato per me, il mio viaggio nel cuore di Napoli, nel cuore della notte è terminato in maniera indolore.
Forse è stata una coincidenza dettata da un fortunato caso, forse, domani, Napoli vivrà una notte profondamente diversa e assai più turbolenta.
Eppur questo non lede né svilisce il senso di quell’attimo che ha contaminato il cielo, l’aria e l’anima di Napoli nel corso di una notte qualunque.