La notte ci consegna l’ennesima storia che dipinge l’integrazione come una chimera e il razzismo come una cruenta minaccia che incombe sulle nostre storie di ordinaria quotidianità, a dispetto dell’evoluzione ideologica, tecnologica e culturale che il progresso, almeno sulla carta, ha impresso o avrebbe dovuto imprimere all’epoca contemporanea.
Invece, siamo ancora il popolo che preferisce viaggiare in metro rimanendo in piedi piuttosto che occupare quell’unico posto a sedere vuoto accanto ad un extracomunitario. Vuoto come le nostre anime che rivendicano tolleranza ed accettazione da parte dei “Signori del Nord” ma che con troppa gratuita e spropositata superficialità riversano la frustrazione accumulata in secoli di umiliazioni su quelli che nel nostro immaginario stanziano sul gradino più basso della scala sociale.
“Negro”, “zingaro”, “sporco” sono solo alcuni degli appellativi più docili con i quali noi, proprio noi, quelli che non vogliono essere chiamati “terroni” etichettiamo gli extracomunitari che respirano la nostra stessa aria: pesante, troppo pesante, in certi casi.
Esattamente com’è avvenuto la scorsa notte, allorquando quattro giovani napoletani, di età compresa tra i 16 e i 20 anni, hanno aggredito degli extracomunitari, in Via Nazario Sauro, a ridosso del rinomato “Pallonetto di Santa Lucia” e di quel mare, naturalmente concepito per fare da cornice a scene di tutt’altro tipo.
Bottiglie, mazze e caschi: queste le armi delle quali i giovani si sono avvalsi per infierire contro i bersagli della loro bruta e becera violenza razzista, procurando agli extracomunitari ferite fisiche medicate dal personale del pronto soccorso accorso sul posto e ben altre lacerazioni che fanno assai più male e per le quali, in una società come questa, si fa fatica ad individuare la cura.