Un nome comune, semplice, usuale, diffuso.
Un nome come tanti, un nome che poteva appartenere a chiunque, quello contornato d’azzurro e scalfito in bianco, dalla curva B, nella curva B, ed abbracciato dal mantello di triste lutto che dal cielo incombe sul San Paolo ed avvolge i cuori, tutti i cuori tinti di quello stesso azzurro, per ricordare, ancora una volta, “quel ragazzo della Curva B”: Ciro.
Un nome sinonimo d’eternità che ricorderà per sempre il volto più cruento vestito dal calcio italiano.
Un nome al quale è cucita la storia più lancinante vissuta dalla Napoli sportiva e non solo.
Un nome che sottolinea come e quanto tutto sia uguale, seppur diverso, rispetto a prima. Nel calcio giocato e non solo.
Il San Paolo, Napoli, il popolo napoletano, non vogliono che quel nome finisca in un inerme loculo, piuttosto sottolineano ed urlano il forte desiderio di conferire ancora fiato e respiri al nome e alla memoria di Ciro, soprattutto attraverso quella forma di illogico e sconfinato amore che ha rappresentato la ragione della sua stessa prematura e sconcertante morte.
Ciro non c’è più, eppur vive attraverso l’assordante e sentito urlo dei suoi compagni di tifo che lo invocano a gran voce.
Ciro vive, in altre spoglie, in altre forme, non terrene, eppur parimenti palpabili.
“Non è un saluto ma un eterno tributo…sventola il tuo nome nell’azzurro del nostro cuore”.
Questo lo striscione dedicato dalla Curva B al giovane tifoso napoletano morto lo scorso 3 maggio, in seguito ad un conflitto a fuoco nel quale è rimasto coinvolto a Roma, poco prima della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina.
Commozione, emozione, dolore: questo è quanto sortisce quel tributo riservato ad “uno di loro”, uno di quelli che, ieri sera, doveva essere seduto su uno di quei sediolini rossi e sbiaditi, in Curva B per sostenere il Napoli, affinché la conquista della Champions passasse anche dalla sua voce.
Poi il fischio d’inizio, calci, rimesse laterali, schiamazzi, applausi ed il susseguirsi di tutto ciò che concorre a costituire il “clima-partita”: lo spettacolo deve continuare, a patto che non vengano mai più riproposte scene di drammatica realtà, capaci di consegnare giovani, ingiuste e premature morti, vite straziate, violenza, dolore, paura, sgomento.
“Lo spettacolo deve continuare” a patto che, d’ora in poi, non sconfini oltre i limiti e le dinamiche pertinenti al rettangolo verde.
Eppure, Ciro, la sua storia ed il monito che tristemente ci ha lasciato in consegna, possono e devono imprimere un incitamento diverso, sano, costruttivo, propositivo, non solo alla squadra, ma soprattutto ai tifosi, non solo a quelli di fede azzurra, ma a tutti.
Ciro vive nel boato del San Paolo, seppure non siederà mai più in quella Curva che rappresentava la sua seconda casa.
Ad occupare quel posto che era suo e suo non sarà più, però, ieri sera, c’era mamma Antonella: il simbolo più amorevole e dignitoso dal quale la Curva B e l’intero tifo italiano devono ripartire.