Accadeva esattamente tre mesi fa ed esattamente intorno a quest’ora: Ciro Esposito, colpito da un proiettile, cadeva sull’asfalto della strada che avrebbe dovuto condurlo allo Stadio Olimpico di Roma.
Ed invece, si è rivelata essere la strada che gli ha segnato irrimediabilmente la vita, dopo 52 giorni di straziante agonia.
E come lui, Gennaro Fioretti ed Alfonso Esposito, altri due nomi che “stranamente” i media faticano a scrivere e pronunciare e che esigono giustizia, perché, anche loro, colpiti da quei proiettili, figli illegittimi dell’insulsa e folle violenza.
Seppur loro siano usciti vivi, esattamente come tutti i napoletani che transitavano per quella strada e che potevano tramortire al suolo, esattamente come Ciro e rimanere feriti, esattamente come Gennaro ed Alfonso, perché, è bene ricordarlo, quella avvenuta tre mesi fa a ridosso dello Stadio Olimpico di Roma, voleva e doveva essere una strage, il cui unico intento era colpire gente vestita d’azzurro, napoletani in quanto tali.
Un vero e proprio agguato che con il calcio giocato e con il tifo che lo accompagna, nulla, proprio nulla ha da spartire.
In questi giorni, sembra prendere concreta forma la versione dei fatti, rilasciata fin da subito da Gennaro Fioretti: il tifoso partenopeo colpito alla spalla da uno dei proiettili sparati all’impazzata, infatti, ha sempre dichiarato che con De Santis c’erano almeno altre 4 persone.
Quattro sono – forse non a caso – gli ultras giallorossi ai quali, due settimane fa, furono perquisite le abitazioni dalla Digos, ma la Procura di Roma smentì la loro iscrizione nel registro degli indagati. In questi giorni, però, questa notizia trova conferma e risulta inequivocabilmente chiaro che i quattro rischiano di essere incriminati per concorso in omicidio.
Secondo gli inquirenti, i quattro ultrà giallorossi potrebbero essere gli stessi che il 3 maggio scorso, esattamente tre mesi fa, con il volto coperto da casco, si trovavano con “Gastone” durante l’assalto ad un pullman di tifosi azzurri diretto all’Olimpico per la finale di Coppa Italia Fiorentina-Napoli. Al primo accenno di reazione dei tifosi napoletani che, a distanza, avevano notato l’assalto al bus, gli assalitori fuggirono.
De Santis fu raggiunto in un vialetto adiacente viale Tor di Quinto e qui avvenne la sparatoria culminata nel ferimento di Ciro Esposito, poi deceduto dopo 52 giorni di agonia, e degli altri due sostenitori partenopei. I complici di De Santis fecero, invece, perdere le loro tracce.
A distanza di tre mesi Ciro, Gennaro, Alfonso e Napoli attendono incessantemente che la giustizia risponda ad una delle ultime domande partorite dall’esile e dolorante voce del tifoso partenopeo, morto lo scorso 25 giugno: “Perché hanno sparato ad uno scemo come me?”
E Napoli non dimentica nemmeno che, negli attimi immediatamente successivi alla sparatoria, nel corso dei concitati momenti in cui, si decideva se far disputare o meno la partita, i cronisti della tv nazionale assediano che “Si trattava di un agguato avulso dal contesto sportivo, avvenuto per un probabile regolamento di conti per effetto dell’operato di un killer sopraggiunto da Napoli per eseguire il compito commissionatogli.”
Ed, ancora, nei giorni successivi, per tanti, troppi giorni, intorno al più grave episodio di violenza calcistica avvenuto nel nostro Paese, i media nazionali e non hanno attuato un increscioso sciacallaggio mediatico che, al pari dei colpi di pistola esplosi contro tre figli di Parthenope, ha inferto lancinanti ferite all’anima di un popolo.
Per cui, Napoli non smetterà mai di attendere che si faccia giustizia.