Perché una conoscenza si purifichi, scrollandosi di dosso la bestiale emotività dell’appartenenza, c’è necessità della distanza. E’ questo il motivo per cui la cronaca accede allo statuto di storia solo dopo che siano passati alcuni decenni, quando cioè l’ingaggio passionale con l’evento sia sfumato e lontano, così da avere uno sguardo meno travolto dal sentimento.
Credo che qualcosa del genere accada anche con l’incontro e l’esperienza di una città. Chi scrive appartiene alla prossima periferia di Napoli, e vive i suoi umori a scatti, mantenendo con essa un preciso spazio di sicurezza che porta lo sguardo, almeno credo, a una maggiore lucidità.
Non sono un suo flglio accasato, ma un parente che spesso reca una visita e un omaggio, e proprio questa particolarità che appartiene ad ogni periferico, fa sì che Napoli venga guardata senza quell’eccessivo amore che giustifica inconsapevolmente le sue storuture e i suoi vizi.
Oggi vi voglio parlare della fisicità di Napoli, della sua ingombrante carnalità che chiamo pornografica. A Napoli ogni cosa avviene sotto il segno della promiscuità. Passeggiare incastrati tra due muraglie di palazzi è un’esperienza fisica di un erotismo assillante. L’assillo della corporeità baldanzosa e sciatta moltiplica contatti eed esasperazioni, e senza accorgertene ti ritrovi il marmocchio di turno ficcato tra le gambe senza nemmeno lo “scusa” di cortesia. In questo travaglio carnale l’esperienza della conoscenza scade a incontro-scontro, e l’osservazione della città diventa un tentativo destinato al fallimento.
Quasi come una prostituta esperta Napoli non si concede nei suoi spiazzi e nelle sue ampie luci, ma ti regala la sua mano callosa, e senza dirti nulla ti trascina negli imbuti dei suoi vicoli, dove la cifra superiore a cui pervieni è un rumore di vita e un rantolo di morte.
La prossimità dell’altro è ambivalente. Da una parte rasserena, dall’altra spaventa conla sua aggressività che t’impedisce d’osservarti. Nel frullato di carni sudate e corpose ci si dimentica del proprio spazio vitale, contaminato e calpestato da una fiumana scomposta, vitale, tirannica. Le spinte della folla ti conducono in luoghi in cui non avevi pensato, l’itinerario è il frutto di questa casualità delle toccate.
Alla fine ti resta l’impressione di una sbronza, e recuperi, una volta a casa, solo vaghi volti che si avvicinavano, seni troppo materni, la terribile sensazione di una processione pagana senza Cristo e senza vere Madonne.
E’ un’epifania di corpi che ricorda i quadri di Bosch: ora grassi, ora scavati, ora truccati fino a ricordare e attualizzare un’ impressione di triste disfacimento.
Ma c’è luce divina in questa apparenza di clamore senza senso. Non saprei raccontarlo, e d’altronde sarebbe ingiusto. Nessuna magia può avere le parole per esprimersi. Se lo fa allora non è magia. Ed è così che mi caccerò di nuovo nel sudore di Napoli, irritato dai suoi fastidiosi mosconi estivi ( i venditori di calzini ), attratto da quelle risate sorde e scostumate, dal miscuglio di donne gravide e corpi erotici.
Abbraccerò di nuovo la folla, sentirò con precisione la spallata che cambia la mia direzione, sorriderò alla vista del corno che pende da un negozio. Incontrerò vita, passerò loro accanto, e non sapremo mai di esserci incontrati.