Il gesto di Paulo Sergio Betanin, meglio conosciuto come Paulinho, rischia di scrivere una delle più eloquenti pagine delle storia del calcio non giocato. Un insegnamento, umano e morale, quello che ci consegna il calciatore brasiliano che potrebbe conferire valori e principi capaci di ripristinare, soprattutto sulle gradinate più turbolente, un modo più sano ed educativo di percepire il calcio e tutto ciò che lo costeggia. La trattativa che lo avrebbe portato a vestire la maglia del Verona era praticamente conclusa, ma il calciatore ha rifiutato il trasferimento.
“No, al Verona proprio non ci posso andare”.
Il motivo?
Quei vergognosi insulti rivolti da una parte della tifoseria gialloblù a Piermario Morosini, il centrocampista bergamasco che con Paulinho ha vissuto sei mesi a Livorno prima di quel triste sabato 14 aprile di Pescara, dove Morosini perse tragicamente la vita.
Il brasiliano era molto legato allo sfortunato compagno e non ha mai dimenticato i cori arrivati dal settore ospiti il 20 ottobre 2012, nel corso della partita tra i labronici e i veronesi.
A dettargli quell’irremovibile decisione è stato il braccialetto amaranto che il calciatore brasiliano porta legato al polso, proprio in ricordo di Morosini.
Paulinho lascerà l’Italia e il calcio italiano, per effetto di un’altra ed emotivamente meno complessa trattativa e per effetto della quale è ufficialmente un calciatore dell’Al-Arabi.
Un cuore come il suo mancherà sicuramente al calcio italiano e la sua uscita di scena merita di essere accompagnata dalla sentita e scrosciante standing ovation partorita dalle mani degli innamorati di quel calcio che troppo raramente vediamo scendere in campo.