L’Ospedale psichiatrico giudiziario “Sant’Eframo” sorge nel cuore di uno dei più antichi e popolosi rioni di Napa ed è ospitato in un importante convento del Seicento, il Monastero della Concezione o di Sant’Eframo Nuovo.
La struttura monumentale si erge in salita San Raffaele a Materdei ed è stata denominata “nuovo”, per essere essere distinta dall’omonimo, sito sul colle della Veterinaria. Sorta alla fine del XVI secolo, precisamente, nel 1572, su di un fondo donato da Gianfrancesco De Sangro principe di Sansevero e venne eretta come insediamento dell’Ordine francescano grazie alle generose elargizioni della nobildonna Fabrizia Carafa. I religiosi adibirono alcuni ambienti della struttura ad uso farmacia.
La chiesa fu fondata nel 1661. Il complesso fu totalmente rimaneggiato a causa dei danni provocati da un incendio del 1840 che distrusse quasi ogni cosa all’interno della chiesa, tranne una statua di San Francesco d’Assisi opera di Giuseppe Sammartino e una statua della Madonna del Brasile, giunta a Napoli nel 1828. Completamente distrutti, invece, gli affreschi della volta, opera di Filippo Andreoli. Nel 1841 il tempio, restaurato in pochissimo tempo grazie all’interesse di Ferdinando II delle Due Sicilie, era già riaperto.
Dopo la confisca dei monasteri, nel 1865 fu abbandonato dai francescani che tentarono invano di conservare per loro la chiesa. Il convento divenne dapprima sede di una caserma e dal 1925 del manicomio giudiziario.
Nella chiesa del monastero fu sepolto Antonio Genovesi grazie all’interesse dell’amico Raimondo di Sangro principe di Sansevero. Tuttavia non ebbe un sepolcro proprio e individuabile, ma venne semplicemente deposto nella cripta. In seguito a ristrutturazioni della chiesa nei primi anni trenta del XX secolo, le ossa della cripta (e dunque anche quelle del Genovesi) furono trasferite in Sant’Eframo Vecchio.
Delle antiche vestigia restano oggi tre chiostri, due chiese sovrapposte, numerose tele e pregevoli opere di marmo. Dal 1925, da quando il complesso religioso è stato destinato a “manicomio giudiziario” e poi, dal 1975, ad Ospedale psichiatrico giudiziario, molte sono state le modifiche strutturali che ne hanno caratterizzato l’interno. Ed è proprio l’interno, al di là della vetustà dell’edificio che oggi suscita sgomento e indignazione, a partire da quelle soluzioni architettoniche a cabina di nave con tanto di oblò, che tanto hanno mortificato la dignità delle persone che vi erano ricoverate. Dichiarato inagibile nel 2000, gli internati sono stati progressivamente trasferiti, in un’ala esterna del carcere di Secondigliano -Scampia. La chiusura definitiva dell’Ospedale è avvenuta nel 2008.
Nel corso dei primi giorni di marzo del corrente anno, la struttura, ormai abbandonata da tempo, è stata occupata dagli studenti napoletani del CAU, con l’intento di recuperarla.
Quello che hanno trovato ad accoglierli, una volta entrati, può essere paragonato solo al girone dei dannati dell’inferno dantesco: i segni del tempo e della mancata manutenzione sono evidenti ad ogni angolo. Ma, ancor più sinistri, risultano i segni di quello che subivano i pazienti qui ricoverati. Celle di pochi metri quadrati, chiuse da pesanti doppie porte blindate, letti di contenzione saldati al pavimento, sbarre ad ogni corridoio, pile di squallide divise uniformi marroni e scarpe accatastate come in un campo di concentramento, di quelli tristemente noti nella storia del Novecento.
Sui muri, ci sono le poesie di lucida disperazione:”Mamma come faccio a diventare amico di un insetto?“. Li chiamavano pazzi, li internavano in un Opg, un acronimo che sta per Ospedale psichiatrico giudiziario ma che nulla era, se non un manicomio.
“Je so pazzo” è un progetto a fondamento dell’occupazione abusiva del 2 marzo, che ha la finalità di ri-funzionalizzare socialmente uno dei luoghi solitamente più atti a rappresentare la coercizione spietata del potere contro i deboli. In un mondo dove la normalità è fatta da disoccupazione, precarietà, discriminazioni di ogni genere e grado, definirsi pazzi e osare addirittura occupare e liberare un ex manicomio giudiziario è l’occasione ideale per iniziare concretamente una lotta all’interno di una città così difficile come Napoli.
Nonostante la grande partecipazione popolare, di bambini, giovani, persone del quartiere, le tante iniziative realizzate, le pulizie e i lavori che stanno cambiando il volto e finalmente dando un senso a un pezzo di città abbandonato, le procedure burocratiche per liberare l’Ex OPG dagli occupanti, avanzano e lo sgombero si fa imminente.
Gli occupanti, alla possibilità di essere denunciati e condannati per occupazione abusiva, hanno reagito con ancora più ferrea determinazione: “Noi da qui non ce ne andiamo. Ci dovete venire a staccare dalle gambe dei tavoli, a tirare uno a uno. E non solo perché pensiamo di essere nel giusto a fare quello che stiamo facendo ma perché sentiamo sulle nostre spalle una responsabilità più grossa. Questa non è un’occupazione qualunque. E non solo perché in Italia non è mai stato occupato un carcere. E nemmeno perché è il complesso più grande nel cuore di Napoli, ma perché in queste settimane si sta producendo un meccanismo di partecipazione popolare che coinvolge centinaia di persone, non solo giovani o “alternative”. Se avete pensato che per noi era un gioco, be’, vi sbagliate. Per noi sorridere è solo un altro modo di mostrare i denti…
Qui stiamo, da qui non ce ne andiamo!“
Per contro, se da un lato le istituzioni hanno deliberato lo sgombero forzato, gli “abusivi ” si sono ritrovati spalleggiati da un alleato inatteso, il Sindaco Luigi De Magistris: “Sono contrario al vostro sgombero militare” afferma il Sindaco davanti agli oltre quattrocento attivisti intervenuti all’assemblea, indetta proprio dopo le notizie relative al via libera dato dal Gip per sgomberare la struttura appartenente al ministero della Giustizia.
“Abbiamo avviato le pratiche col demanio per acquisire l’ex-Opg” spiega il primo cittadino “Manca solo il parere del ministero dei Beni Culturali”.